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Per un decennio la prima camera civile e la camera di commercio sono state in disaccordo sulla questione della responsabilità degli enti creditizi per la concessione di crediti ritenuti eccessivi rispetto alla capacità di rimborso del mutuatario.

Già nel 1995 la prima sezione civile della Corte di Cassazione imponeva al banchiere l’obbligo di consulenza. Si trattava di “avvertire” i mutuatari circa l’importanza dell’indebitamento legato ai mutui accesi. Essa pertanto è venuta meno all’obbligo di avviso, anche se i mutuatari erano pienamente consapevoli dei rischi che stavano correndo, essendone stati informati da un altro istituto di credito, il banchiere che ha concesso l’eccessivo credito.

La portata di questo dovere e persino la qualifica adottata erano all’epoca controverse. Alcuni autori hanno infatti qualificato come “dovere negativo” il dovere di consulenza sancito dalla prima camera civile, dovere che in realtà equivaleva ad un “ammonimento”.

La camera di commercio, dal canto suo, aveva espressamente escluso l’esistenza di tale obbligo, stabilendo che il banchiere, prestatore di credito, è “debitore senza obbligo di avvisare il suo cliente”.

Dal 2002 le sezioni della Corte di Cassazione parlano con una sola voce. Convengono, in più sentenze (1 e 2) che quando un banchiere dispone di informazioni definitive sulla situazione finanziaria del mutuatario, quest’ultimo deve, al momento della conclusione del contratto, avvertire dei pericoli della prevista operazione di credito (in particolare sui rischi di indebitamento e sulle capacità finanziarie del debitore).

La Camera di Commercio della Corte di Cassazione metterà però il kibosh, con una sentenza del 2019 (3), sui limiti dell’obbligo di ammonimento del banchiere. Questo non può, infatti, essere condannato per l’assenza di avvertimento di un rischio che non si è verificato.

Studio legale , Maitre Damy, avvocato simpatico