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Un viaggio all’estero può rientrare nell’attività abituale del dipendente e pertanto non rientra nell’applicazione di una clausola di mobilità.

Un dipendente di un’azienda internazionale viene licenziato per colpa grave per aver rifiutato un viaggio all’estero per una riunione. Il datore di lavoro si è basato sul contratto di lavoro dell’interessato, che prevedeva che questi potesse essere chiamato a svolgere incarichi all’estero, e ha riconosciuto che la mobilità del dipendente nell’esercizio delle sue funzioni costituiva una condizione sostanziale del CONTRATTO.
Per i giudici del processo la clausola contrattuale doveva essere analizzata come una clausola di mobilità e, poiché non fissava un limite geografico, tale clausola di mobilità era nulla. Anche la risoluzione del contratto doveva essere analizzata come un licenziamento senza reale e grave causa.
La Corte di Cassazione non approva tale decisione: per essa, la semplice constatazione che il viaggio rifiutato dal dipendente rientrava nell’ambito abituale della sua attività di consulente internazionale era sufficiente a giustificare la decisione del datore di lavoro. Non era necessario in questo caso verificare se la clausola del contratto fosse valida o meno.

Avvocato Grégory DAMY 2022 Bel diritto del lavoro