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La contropartita finanziaria del divieto di concorrenza:
La clausola di non concorrenza è una clausola molto comune nei contratti di lavoro. Integrato in questo, il divieto di concorrenza vieta al lavoratore, dopo aver lasciato l’azienda, l’esercizio di un’attività professionale concorrente, suscettibile di ledere gli interessi del suo datore di lavoro.
Con sentenza della Corte di Cassazione del 16 maggio 2012 (n°11-10760 PFB), la camera sociale ritiene che il giudice non possa dichiarare la nullità di tale clausola e, nel contempo, condannare il datore di lavoro al pagamento di compenso.
In questo caso, un dipendente, avendo ottemperato al suo obbligo di non concorrenza, ha preteso dal suo ex datore di lavoro un’indennità economica aggiuntiva tenendo conto della sua retribuzione variabile.
La Corte d’Appello ha dapprima ritenuto nulla tale clausola a fronte di un corrispettivo irrisorio, quindi ha condannato il datore di lavoro al pagamento del “giusto” importo rivalutato a titolo di risarcimento danni.
Tuttavia, dichiarata nulla tale clausola dai giudici, il risarcimento economico non è più giustificato, qualunque sia l’importo. Al dipendente potrebbero essere corrisposti solo i danni in base al danno subito.
In presenza di un contratto collettivo, l’importo del corrispettivo non avrebbe dovuto essere rivalutato perché fissato da quest’ultimo (Cass. soc. 5 maggio 2010, n. 09-40710 D).
È opportuno aggiungere che la Corte di Cassazione (1), con sentenza del 9 aprile 2015, afferma l’impossibilità per il datore di lavoro di variare, ed in tal caso ridurre, l’importo del divieto di concorrenza in funzione del motivo di risoluzione del contratto di lavoro.
1) Cassazione, Sezione Civile, Sociale, 9 aprile 2015, 13-25.847: https://www.legifrance.gouv.fr/juri/id/JURITEXT000030470498/