Responsabilità civile delle strutture sanitarie private
Oltre alla responsabilità contrattuale, le strutture sanitarie private possono essere ritenute responsabili anche per fatto illecito.
In particolare, in caso di caduta, possono essere responsabili nei confronti di terzi visitatori:
“Considerando che, secondo le dichiarazioni contenute nella sentenza di conferma, F., uscendo dalla clinica Geoffroy Saint-Hilaire, dove si era recato in visita, è caduto sulle scale e si è ferito; ha attribuito la caduta alle condizioni anomale della scala, alla sua forma a chiocciola, ai suoi gradini irregolari e stretti, alla sua mancanza di illuminazione e alla sua scarsa manutenzione, e ha citato in giudizio la clinica e la compagnia di assicurazione Concorde, sulla base degli articoli 1382 e 1384, comma 1, del Codice civile, per ottenere il risarcimento del danno; [… Alla luce di queste affermazioni, la Corte d’Appello, che […] giustificava giuridicamente la sua decisione con queste motivazioni. ”
Cass. civ. 2, 3 giugno 1970, n. 68-14.242
A meno che non venga accertata la colpa della vittima.
Inoltre, una struttura sanitaria privata sarebbe responsabile anche per le colpe commesse dai suoi dipendenti.
Le colpe commesse all’interno della struttura dal suo personale dipendente fanno sorgere la responsabilità civile di tale struttura per illecito civile sulla base delle disposizioni dell’articolo 1242 del Codice Civile.
L’istituto ospedaliero privato è quindi responsabile per le proprie colpe, per quelle dei suoi dipendenti, ma anche per le cose che utilizzano.
Ad esempio, anche la colpa di un medico dipendente potrebbe far sorgere la responsabilità civile dell’istituto:
“Pertanto, se, nonostante l’inalienabile indipendenza professionale di cui gode il medico nell’esercizio della sua arte, una struttura sanitaria può, senza pregiudizio dell’azione di regresso, essere dichiarata responsabile per le colpe commesse da un medico nel corso di atti di indagine o di cura praticati su un paziente, ciò avviene a condizione che tale medico sia un suo dipendente”.

Cass. civ. 1, 26 maggio 1999, n. 97-15.608
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