Tempo di lettura stimato (in minuti)

Ne avrete sentito parlare: con una decisione definita da alcuni “rivoluzionaria”, la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha concesso, il 13 maggio, circa due mesi fa, un diritto “all’oblio digitale”, sottintendendo che chiunque può ottenere la cancellazione, da parte di un motore di ricerca, del riferimento a siti contenenti informazioni che lo riguardano personalmente e che violano, date le circostanze, il suo diritto al rispetto della vita privata (sentenza “Google Spagna”, 13 maggio 2014, C131 /12 ).

Impatto dell’oblio digitale

A seguito di tale decisione, le società del gruppo Google hanno preso atto della volontà del giudice europeo istituendo un sistema volto a garantire l’effettività di tale diritto. Schematicamente, tale dispositivo consiste nel mettere a disposizione di tutti gli internauti un modulo che, una volta compilato, verrà restituito on line all’azienda, consentendo così di formulare una richiesta di rimozione di un dato link secondo modalità semplificate. .
Basti pensare che il successo di un’iniziativa del genere non si è fatto attendere: in poco più di due mesi sono state inviate al motore di ricerca ben 80.000 richieste!

Tuttavia, mentre un tale sviluppo è ovviamente da accogliere con favore, alcuni avvertimenti meritano di essere presi in considerazione.

Innanzitutto, quando viene chiesto a Google, si limita ovviamente a rimuovere un “riferimento” e non il contenuto stesso. Ne consegue quindi che la cancellazione è quantomeno relativa, in quanto il reperimento di informazioni referenziate da nuovi siti web può avere la conseguenza di far “riaffiorare” l’informazione più volte, e questo per un tempo più o meno infinito. Inoltre, il sistema messo in atto riguarda solo il dominio europeo di Google, per cui nessun rimborso può attualmente riguardare il dominio americano, in particolare, accessibile dal territorio francese.

Sfide e considerazioni

In secondo luogo, il seguito che può essere dato ad ogni richiesta ha un carattere prettamente giuridico, in quanto risulta inevitabilmente da un arbitrato svolto tra più fonti di interessi divergenti. Tali richieste, da un lato, non possono ovviamente essere oggetto di trattamento automatizzato e informatico, dall’altro possono essere oggetto di opposizioni, anche non del tutto illegittime.

Quindi, è davvero opportuno affidare a Google la responsabilità e il potere di tali decisioni? A parte il fatto che i tempi di attesa rischiano di aumentare rapidamente, non sarebbe preferibile, in particolare, che tale competenza fosse attribuita a una specifica autorità indipendente, quando è noto che molte richieste riguardano informazioni contenute in articoli di stampa e che alcuni giornali stanno già gridando alla censura?
Non c’è dubbio che il legislatore, nazionale ed europeo, abbia “molto sul tavolo”.
Studio legale DAMY – 2022