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Quale modifica può apportare il datore di lavoro al contratto del proprio dipendente? Il dipendente ha voce in capitolo?
Cosa non può fare
In linea di principio, secondo costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, quando il datore di lavoro considera un provvedimento che incide su uno degli elementi essenziali del contratto di lavoro di un dipendente, quale il suo inquadramento, la sua retribuzione, o la sua funzione, si considera una modifica del contratto di lavoro. Tale modifica non può essere imposta al dipendente.
Questo è il caso di tutti i cambiamenti nell’attività del lavoratore, che hanno un impatto sulla sua qualifica o sulle sue missioni o sulle sue responsabilità, che non possono quindi essere decisi unilateralmente dal datore di lavoro. Tale divieto si applica anche quando tale modifica viene apportata al ribasso, come nel caso della retrocessione, ma anche in caso di promozione professionale.
cosa può fare
Il datore di lavoro ha sempre la possibilità di proporre tale modifica del contratto di lavoro, a condizione che ottenga il previo consenso del lavoratore. In pratica, è necessario formalizzare tale accordo firmando un addendum al contratto di lavoro che ne sancisca l’accettazione, al fine di limitare qualsiasi contestazione della suddetta modifica. Tale formalizzazione è particolarmente importante, in quanto la mera prosecuzione del lavoro alle nuove condizioni non può essere sufficiente a stabilire l’accettazione della modifica in questione, anche se il contratto è proseguito alle nuove condizioni per un lungo periodo.
Viceversa, ci sono casi in cui non è necessario il consenso del dipendente. Il datore di lavoro, infatti, può decidere di assegnare il lavoratore ad una mansione diversa da quella che esercitava in precedenza purché tale nuovo incarico corrisponda alla sua qualifica e non sia accompagnato dalla perdita del trattamento economico. Si ritiene poi che tale situazione, determinante un mutamento di attribuzioni e non di funzione, corrisponda ad un semplice mutamento delle condizioni di lavoro, che il datore di lavoro può imporre nell’ambito dell’esercizio del proprio potere gestionale.
E quando il dipendente si rifiuta?
Le conseguenze del rifiuto del lavoratore sono diverse a seconda che la misura prevista comporti una modifica del contratto di lavoro o una semplice modifica delle condizioni di lavoro.
In caso di rifiuto di una modifica del contratto di lavoro, il datore di lavoro ha la possibilità di continuare il contratto di lavoro alle condizioni iniziali; in altre parole, rinuncia alla sua proposta di modifica. Se decide di mantenere il suo progetto, sarà portato a prendere in considerazione il licenziamento del dipendente. Il motivo del licenziamento si baserà poi sul motivo di tale cambiamento, che può essere personale o economico, ma non sul rifiuto del dipendente, che di per sé non costituisce motivo di licenziamento.
Viceversa, la modifica delle condizioni di lavoro del lavoratore, decisa dal datore di lavoro in virtù del suo potere gestionale, è vincolante per il lavoratore. Il rifiuto del dipendente è quindi assimilabile a un atto di insubordinazione. Se il lavoratore si rifiuta comunque di sottostare alle nuove condizioni di lavoro, spetterà al datore di lavoro sanzionarlo, avviando, se necessario, a seguito di più diffide, la procedura di licenziamento per motivi personali.
Studio legale DAMY, Nizza, Diritto del lavoro, modifica del contratto di lavoro,