Il 13 maggio 2025, il Tribunale giudiziario di Parigi ha condannato un noto attore a 18 mesi di reclusione con sospensione della pena per molteplici aggressioni sessuali commesse con sorpresa.

Il Tribunale si è basato sull’articolo 222-22 del Codice penale francese, che al primo comma dispone:

“Costituisce aggressione sessuale qualsiasi atto sessuale commesso con violenza, costrizione, minaccia o sorpresa o, nei casi previsti dalla legge, commesso su un minore da parte di un adulto…”

All’attore era stato contestato di aver toccato più volte i glutei, il seno e i genitali di due donne, sopra i loro vestiti, nel 2021.

Il riconoscimento della parola delle vittime di reati sessuali

In assenza di prove materiali dirette, il Tribunale ha ritenuto sufficiente un insieme di indizi concordanti, tra cui:

  • dichiarazioni coerenti e costanti delle vittime,
  • testimonianze di parenti o amici contattati subito dopo i fatti,
  • una perizia medica che attestava un’inabilità temporanea al lavoro compatibile con uno stato di stress post-traumatico.

Inoltre, la linea difensiva dell’imputato è stata indebolita dalle sue stesse contraddizioni.

Questa valutazione della prova, centrata sulla parola della vittima, rappresenta un’evoluzione significativa.

Una pena individualizzata ma criticata

La pena inflitta — 18 mesi con la condizionale — può sembrare mite rispetto al massimo previsto dall’articolo 222-27 del Codice penale, che prevede fino a cinque anni di reclusione e 75.000 euro di multa.

Nel rispetto del principio di individualizzazione della pena, i giudici hanno tenuto conto di elementi favorevoli all’imputato, come l’assenza di precedenti penali, l’età avanzata e il suo stato di salute.

Il Tribunale ha inoltre disposto la privazione del diritto di eleggibilità come pena accessoria.

La libertà d’espressione dell’avvocato minacciata dalla vittimizzazione secondaria

La vittimizzazione secondaria indica il danno subito dalle vittime di violenza sessuale a causa del trattamento riservato loro dal sistema giudiziario.

Nel caso in questione, il tribunale ha condannato l’attore a versare 1.000 euro a ciascuna querelante, per tale danno, in seguito a dichiarazioni ritenute offensive pronunciate dal suo avvocato durante l’udienza.

Una tale decisione è discutibile. L’articolo 41, comma 4, della legge del 29 luglio 1881, garantisce all’avvocato l’immunità per quanto detto in aula:

“Non daranno luogo ad alcuna azione per diffamazione, ingiuria o oltraggio né il resoconto fedele fatto in buona fede dei dibattimenti giudiziari, né i discorsi pronunciati o gli scritti prodotti davanti ai tribunali.”

Pertanto, sanzionare il cliente per le dichiarazioni del suo avvocato, parte della strategia difensiva, solleva una questione seria in merito ai diritti della difesa.

Se è necessario sanzionare eventuali abusi della libertà d’espressione dell’avvocato, ciò dovrebbe avvenire tramite una procedura disciplinare o una responsabilità civile personale, non tramite una sanzione pecuniaria al cliente.

Un caso che riflette tensioni sistemiche

Questo procedimento evidenzia le tensioni persistenti tra la protezione delle vittime e il rispetto dei diritti fondamentali della difesa, in un contesto fortemente mediatico.

L’equilibrio del sistema giudiziario si rivela fragile quando si tratta di violenze sessuali molto esposte, dove la parola delle vittime e i diritti degli imputati entrano in rotta di collisione.

Poiché l’imputato ha presentato appello, la causa non è ancora definitiva